L'accusa degli ambientalisti: massacri indiscriminati, bisogna fermarli
Caccia ai delfini, Giappone sotto accusa
Oggi in oltre 100 città del mondo la protesta contro la cattura e l'uccisione di 20 mila esemplari nelle acque davanti a Taiji
MILANO - L'oceano all'improvviso cambia colore e le sfumature turchesi che normalmente lambiscono le coste della baia di Taiji lasciano posto al rosso del sangue. Lo sguardo del delfino è disperato, il suo occhio si spegne in uno sbuffo di acqua che sembra una lacrima, il muso è ricoperto da una grande macchia color porpora. La sua agonia durerà poco, o forse comunque troppo: di lì a pochi minuti sarà gettato come un sacco di patate sulla banchina del mollo, appeso al gancio del verricello di un piccolo camioncino e trascinato sul cemento fino ad un capannone dove mannaie e seghe elettriche metteranno fine al suo destino. Sezionato e diviso in parti arriverà nei frigoriferi di ristoranti e industrie conserviere.
PROTESTA INTERNAZIONALE - Non è l'incipit di un racconto pulp, ma la descrizione - perfino un po' edulcorata - della mattanza dei delfini sulle coste giapponesi. Un rito che ha ripreso il via, come ogni anno, il 1° ottobre e contro il quale per l'intera giornata di sabato si mobilitano animalisti e associazioni ambientaliste di oltre cento città del mondo. La protesta è indirizzata alle autorità di Tokyo e si svolgerà quasi in contemporanea davanti ai consolati e alle ambasciate nipponiche delle principali città di tutti i continenti (a Roma a partire dalle 11,30).
LA MATTANZA - «La nostra vuole essere la più grande manifestazione internazionale della storia» spiega Ric O'Barry, l'ambientalista francese dell'associazione OneVoice che è riuscito a girare un filmato del massacro che si perpetua nelle acque al largo di Taiji. Immagini, le sue, che come quelle dei piccoli di foca uccisi a bastonate diffuse negli anni scorsi per sensibilizzare l'opinione pubblica sul tema della caccia indiscriminata per la produzione di pellicce, sono la bandiera di questa mobiilitazione senza frontiere. «Abbiamo bisogno di decine di migliaia di manifestanti davanti alle ambasciate giapponesi del mondo intero - dice ancora O'Barry -. Ogni anno i pescatori giapponesi cacciano e uccidono circa 20 mila delfini. Alle autorità nipponiche bisogna fare sapere che sono crimini contro natura inaccettabili in tutto il resto del mondo».
IL BUSINESS DEI DELFINARI - La cattura dei delfini non è legata soltanto all'industria alimentare e al consumo nei ristoranti, ma anche al business dei delfinari e dei circhi acquatici. Anzi: è proprio questo il grimaldello con cui viene violata la Convenzione di Washington che prevede la moratoria della caccia ad alcune specie di questi mammiferi. Con la scusa di diffondere tra la popolazione la conoscenza del mare, le autorità giapponesi hanno chiesto di incoraggiare la cattura anche di specie sotto tutela, come il Lagenorinco dai denti obliqui (Lagenorhynchus obliquidens). «Nel mondo quasi il 65% dei delfini detenuti nei parchi divertimento proviene da catture in mare - commenta Giovanni Guadagna, responsabile del settore zoo e acquari della Lav, la Lega antivivisezione - Tutti i delfinari italiani, ad esempio, detengono o hanno detenuto delfini di cattura o di prima generazione nati in cattività».
LA CATTURA - La cattura inizia in mare aperto: i pescatori giapponesi, avvistati i branchi, iniziano a battere violentemente su barre di acciaio parzialmente immerse in mare creando una barriera sonora che spinge i delfini nella baia di Taiji. Alcuni motoscafi chiudono poi l'insenatura con delle reti. I delfini rimasti in trappola si dibattono con violenza nel tentativo di liberarsi. Intanto alcuni subaquei si imemrgono e isolano dal branco gli esemplari giudicati più adatti per essere rivenduti ai delfinari. Gli altri vengono invece arpionati e portati a riva per il sezionamento e l'invio ai mercati.
TUTELE AGGIRATE - La convenzione di Washington inserisce i delfini di Taiji in una lista che prevede non il divieto assoluto di caccia, stabilito per gli animali in via di estinzione, ma l'istituzione di quote di prelievo. «Il Giappone - sottolinea la Lav - può così catturarli con l'ipocrita alibii di difendere le risorse ittiche dai possibili predatori, a tutto vantaggio in realtà dell'industria alimentare e di quella del divertimento». «In realtà - aggiunge Ric O'Barry, che in passato ha lavorato per lunghi anni nei delfinari e ha addestrato gli animali che sono serviti alla nota serie televisiva del delfino Flipper e per questa sua conoscenza del settore è oggi la voce critica più «fastidiosa» per gli zoo d’acqua- è lo sfruttamento eccessivo da parte dell'industria ittica responsabile della riduzione di numerose specie di pesci».
MESSAGGI A KOIZUMI - La campagna di sensibilizzazione delle autorità giapponesi è iniziata già nei giorni scorsi con l'invio di messaggi al presidente Koizumi. «Invitiamo tutti gli italiani a far sentire la propria voce - spiegano alla Lav -. Sul nostro sito Internet sono disponibili l'indirizzo e il modello di messaggio da inviare». L'Ente nazionale per la protezione animali ha invece inviato una lettera all'ambasciatore giapponese in Italia, Nobuko Matsubara, chiedendo di sostenere la moratoria contro quella che definiscono «una cattura indiscriminata condotta per motivi esclusivamente economici».
Corriere della sera