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Risultati da 11 a 20 di 330

Discussione: Dogo Argentino

  1. #11
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    In Italia non ha ancora riscosso il successo che si merita, ma in Argentina, dov'è nato grazie al sogno di un medico con Ia passione dei cani, è quasi un monumento nazionale vivente. Ecco il Dogo Argentino, una perfetta "macchina da caccia grossa" ma anche un compagno di vita fedele, amabile e pronto a difenderci ogni qualvolta le circostanze lo richiedano. Pregiudizi e ignoranza a parte.
    La storia della cinofilia è spesso legata al nome di singoli personaggi meritevoli di aver dato un fondamentale avvio alla creazione di una nuova razza Il caso forse più eclatante è quello di Louis Dobermann, messo comunale nella cittadina di Apolda, in Turingia, che a metà dell'800 concepì la razza che poi prese addirittura il suo nome. E che dire di Einrich Essig, consigliere comunale della città di Leonberg (sempre in Germania), che volle fortemente creare un nuovo cane che somigliasse il più possibile al leone riprodotto sull'antico stemma araldico della citta e riuscì alla fine a dare vita al Leonberger? Non si può infine dimenticare il capolavoro del capitano Max von Stephanitz, il papà del Pastore Tedesco.
    Anche il Dogo Argentino ha un suo padre ben preciso. Anzi, due: il dottor Antonio Nores Martinez e quello che potremmo definire il "padre adottivo", suo fratello Augustin. A dispetto perô delle altre figure medio-borghesi, Ia famiglia Martinez era ricca, importante e soprattutto con un alto livello di cultura. Basti dire che il nonno, emigrato dalla Spagna nel sud America ai primi dell'800, ebbe otto figli tutti laureati in discipline diverse. Antonio N. Martinez era un medico. Quando concepì per la prima volta l'idea di creare una nuova razza canina era perô poco più che un ragazzo: quasi diciotto anni lui, diciassette il fratello. "Mi ricordo ancora come se fosse ieri..." scrive Augustin nel libro Storia del Dogo Argentino, "il giorno, in cui mio fratello Antonio per la prima volta mi fece partecipe della sua idea di creare una nuova razza di cane da utilizzare per la caccia grossa e per la quale si stava preparando a sfruttare la tenacia del Cane da presa di Cordoba. L'idea era quella di inserire il sangue anche di altre razze che gli avrebbero conferito altezza, buon fiuto, velocità, istinto di caccia e, più di ogni altra
    cosa, ne avrebbero ridotto quella forte tendenza a lottare con altri cani che si sarebbe dimostrata poco utile per la caccia al branco. Ne sarebbe emerso un mix di elementi che li avrebbe trasformati in cani socievoli, capaci di vivere in libertà, in famiglia e nelle tenute, sfruttando il grande coraggio della razza di partenza ma indirizzandolo verso un utile e nobile fine: la caccia sportiva e il controllo degli animali nocivi".

    <font color=\"navy\"><i>https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bbgHZWwyhcQ</i></font id=\"navy\">

  2. #12
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    Alle parole seguirono i fatti. Ed è un caso straordinario -quasi raro- che ancora oggi possiamo seguire la nascita di una nuova razza seguendo passo a passo il lavoro del suo creatore. E se questo è possibile è solo grazie alla meticolosità del dott. Antonio nell' annotare su un registro i vari incroci eseguiti.
    Prima di approfondire questo complesso lavoro è però necessario fare una premessa. Quando Augustin cita la "caccia grossa" (la caza major, com' è chiamata in Argentina) non dobbiamo dimenticare l' ambiente nella quale questa si svolgeva: la pampa. Vale a dire una vasta distesa fitta, silenziosa e pianeggiante, nella quale i cani dovevano avere una tattica di caccia, un coraggio ed una determinazione tali da far intimidire anche i più provetti segugi europei. Le prede erano animali scaltri e temibili come il puma e il giaguaro o combattivi come il cinghiale. Ai cani spettava il compito di affrontarli e bloccarli con una stretta al collo o al muso, in attesa del sopraggiungere dei cacciatori a cavallo, ed è quasi inutile dire che dovevano essere soggetti eccezionali.
    Antonio N. Martinez, da provetto cacciatore qual era, lo sapeva bene. Per questo decise di partire dal miglior cane da combattimento presente in Argentina, il cane de Pelea cordobès (cane da presa di Cordoba). Si trattava di un' eredità del dog fighting, pratica portata in Argentina da spagnoli e inglesi, e che anche avevano trovato un notevole consenso. Iniziò dunque con l' incrociare questo cane con altre otto razze diverse, ciascuna scelta per una caratteristica precisa: il Boxer per l' equilibrio caratteriale, il Bull Terrier per il coraggio, il Bulldog Inglese, il Mastiff e il Dogue de Bordeaux per incrementare la potenza della presa e lo sviluppo mascellare, l' Alano per la statura, il Pointer per l' olfatto e il cane dei Pirenei per il candore del mantello. Il primo risultato fu la creazione nel suo allevamento di quella che lui definì la Famiglia Araucana, una sorta di babele di soggetti dalle taglie e forme più disparate. L' obiettivo, nonostante la confusione che ci si può immaginare, era però chiaro: ottenere, come lui stesso disse, "un Dogo Argentino di notevole omogeneità razziale e costanza genetica".
    L' impresa finalmente riuscì non molto tempo dopo. Nel 1928, dopo solo tre anni di lavoro, Antonio N. Martinez poté stilare una prima bozza di standard del nuovo cane. I tempi, però, erano probabilmente ancora prematuri tanto che la Federazione Cinologica Argentina ebbe una prima, tiepida reazione. Probabilmente voleva avere la certezza che la nuova razza potesse mantenere inalterato con gli anni sia il genotipo che il fenotipo. Così il lavoro di Martinez continuò ulteriormente, cercando di affinare l' obiettivo attraverso il reincrocio dei cani nati nelle generazioni che via via si susseguono. Come spesso capita in questi casi, però, il papà del Dogo Argentino non potè vedere coronato il suo sogno. Nel 1956, durante un' ennesima battuta di caccia, venne ritrovato morto. Si trattò probabilmente di un omicidio ma, ed in certo senso è questa la cosa più importante, veniva compromesso quel prezioso lavoro selettivo portato avanti fino ad allora. Se questo non è accaduto è solo grazie alla disponibilità del fratello Augustin. Ritiratosi a Chubut, una delle isole della Patagonia, portò a termine il lavoro di Antonio tanto che nel 1964 la Federazione Cinologica Argentina e l' Argentina Rural Society riconobbero la nuova razza. Nove anni più tardi, nel 1973, anche lo fece la Fci, approvando lo standard di razza rimasto in vigore fino al 1999 (da allora ne esiste una nuova versione).

    <font color=\"navy\"><i>https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bbgHZWwyhcQ</i></font id=\"navy\">

  3. #13
    Senior Member

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    Alle parole seguirono i fatti. Ed è un caso straordinario -quasi raro- che ancora oggi possiamo seguire la nascita di una nuova razza seguendo passo a passo il lavoro del suo creatore. E se questo è possibile è solo grazie alla meticolosità del dott. Antonio nell' annotare su un registro i vari incroci eseguiti.
    Prima di approfondire questo complesso lavoro è però necessario fare una premessa. Quando Augustin cita la "caccia grossa" (la caza major, com' è chiamata in Argentina) non dobbiamo dimenticare l' ambiente nella quale questa si svolgeva: la pampa. Vale a dire una vasta distesa fitta, silenziosa e pianeggiante, nella quale i cani dovevano avere una tattica di caccia, un coraggio ed una determinazione tali da far intimidire anche i più provetti segugi europei. Le prede erano animali scaltri e temibili come il puma e il giaguaro o combattivi come il cinghiale. Ai cani spettava il compito di affrontarli e bloccarli con una stretta al collo o al muso, in attesa del sopraggiungere dei cacciatori a cavallo, ed è quasi inutile dire che dovevano essere soggetti eccezionali.
    Antonio N. Martinez, da provetto cacciatore qual era, lo sapeva bene. Per questo decise di partire dal miglior cane da combattimento presente in Argentina, il cane de Pelea cordobès (cane da presa di Cordoba). Si trattava di un' eredità del dog fighting, pratica portata in Argentina da spagnoli e inglesi, e che anche avevano trovato un notevole consenso. Iniziò dunque con l' incrociare questo cane con altre otto razze diverse, ciascuna scelta per una caratteristica precisa: il Boxer per l' equilibrio caratteriale, il Bull Terrier per il coraggio, il Bulldog Inglese, il Mastiff e il Dogue de Bordeaux per incrementare la potenza della presa e lo sviluppo mascellare, l' Alano per la statura, il Pointer per l' olfatto e il cane dei Pirenei per il candore del mantello. Il primo risultato fu la creazione nel suo allevamento di quella che lui definì la Famiglia Araucana, una sorta di babele di soggetti dalle taglie e forme più disparate. L' obiettivo, nonostante la confusione che ci si può immaginare, era però chiaro: ottenere, come lui stesso disse, "un Dogo Argentino di notevole omogeneità razziale e costanza genetica".
    L' impresa finalmente riuscì non molto tempo dopo. Nel 1928, dopo solo tre anni di lavoro, Antonio N. Martinez poté stilare una prima bozza di standard del nuovo cane. I tempi, però, erano probabilmente ancora prematuri tanto che la Federazione Cinologica Argentina ebbe una prima, tiepida reazione. Probabilmente voleva avere la certezza che la nuova razza potesse mantenere inalterato con gli anni sia il genotipo che il fenotipo. Così il lavoro di Martinez continuò ulteriormente, cercando di affinare l' obiettivo attraverso il reincrocio dei cani nati nelle generazioni che via via si susseguono. Come spesso capita in questi casi, però, il papà del Dogo Argentino non potè vedere coronato il suo sogno. Nel 1956, durante un' ennesima battuta di caccia, venne ritrovato morto. Si trattò probabilmente di un omicidio ma, ed in certo senso è questa la cosa più importante, veniva compromesso quel prezioso lavoro selettivo portato avanti fino ad allora. Se questo non è accaduto è solo grazie alla disponibilità del fratello Augustin. Ritiratosi a Chubut, una delle isole della Patagonia, portò a termine il lavoro di Antonio tanto che nel 1964 la Federazione Cinologica Argentina e l' Argentina Rural Society riconobbero la nuova razza. Nove anni più tardi, nel 1973, anche lo fece la Fci, approvando lo standard di razza rimasto in vigore fino al 1999 (da allora ne esiste una nuova versione).

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  4. #14
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    Se, leggendo lo standard, appare evidente il fatto che il Dogo Argentino sia stato costruito a tavolino per essere un formidabile cacciatore (ricordiamo, per inciso, che il colore bianco del mantello serviva a distingue re meglio il cane nelle concitate fasi della caza mayor c'è purtroppo da sottolineare che nel tempo, proprio per le sue caratteristiche fisiche, è stato facile individuare in lui anche una "perfetta macchina da guerra", nel senso più negativo del termine. Già nel 1991 la Dangerous Dog Act inglese inseriva il Dogo Argentino tra le razze da proscrivere assieme a Pit Bull Terrier, Tosa Giapponese e Fila Brasileiro. In generale, però durante tutti gli ultimi dieci anni - pur senza l'enfasi data ad esempio al Pit Bull - la razza argentina è stata comunque citata tra quelle considerate pericolose. La conseguenza è stata Ia creazione di epiteti tanto eccessivi da risultare improbabili: demonio bianco, implacabile mostro e così via. La vera ragione, però va come al solito cercata in un pericoloso cocktail di stupidità umana, doti oggettive del cane, ignoranza e volontà da parte dei padroni di riflettere sul cane il proprio desiderio di potenza. Ne consegue che, nonostante l'opera di molti allevatori ed appassionati decisi a ribaltare un preconcetto ingiustificato, resta tuttora viva l'idea che questo molosso bianco debba necessaria mente essere feroce. Ne è una testimonianza il comunicato pubblicato il 21 febbraio 1999 sul quotidiano argentino Clarin da parte del locale Club del Dogo Argentino "Dr Antonio Nores Martinez". "L'onorevole Commissione Direttiva del Club" si legge tra le altre cose, "in relazione alle lamentele dell'opinione pubblica (...) sente il dovere di rivolgersi a tutta la nostra comunità, precisando che: a causa della insicurezza nella quale oggi vive la nostra società, è cresciuto il numero di cani dalla struttura forte ed il morso efficace ed in lui viene ricercata la protezione che altri non sono in grado di offrirgli. Il cane, naturale protettore di chi lo ama e compagno dell'uomo da quando quest'ultimo ha messo piede sulla terra - prosegue il comunicato - offre una soluzione a questi problemi ma la sua tenacia dev'essere accompagnata dalla responsabilità dei suoi proprietari che devono conoscere le sue specifiche necessità. (...) Un Dogo Argentino, come tutti i cani, è un compagno fedele. Ama i suoi proprietari però non è adatto a chi preferisce un cane indipendente".

    da http://www.falchibianchi.it/
    <font color=\"navy\"><i>https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bbgHZWwyhcQ</i></font id=\"navy\">

  5. #15
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    Se, leggendo lo standard, appare evidente il fatto che il Dogo Argentino sia stato costruito a tavolino per essere un formidabile cacciatore (ricordiamo, per inciso, che il colore bianco del mantello serviva a distingue re meglio il cane nelle concitate fasi della caza mayor c'è purtroppo da sottolineare che nel tempo, proprio per le sue caratteristiche fisiche, è stato facile individuare in lui anche una "perfetta macchina da guerra", nel senso più negativo del termine. Già nel 1991 la Dangerous Dog Act inglese inseriva il Dogo Argentino tra le razze da proscrivere assieme a Pit Bull Terrier, Tosa Giapponese e Fila Brasileiro. In generale, però durante tutti gli ultimi dieci anni - pur senza l'enfasi data ad esempio al Pit Bull - la razza argentina è stata comunque citata tra quelle considerate pericolose. La conseguenza è stata Ia creazione di epiteti tanto eccessivi da risultare improbabili: demonio bianco, implacabile mostro e così via. La vera ragione, però va come al solito cercata in un pericoloso cocktail di stupidità umana, doti oggettive del cane, ignoranza e volontà da parte dei padroni di riflettere sul cane il proprio desiderio di potenza. Ne consegue che, nonostante l'opera di molti allevatori ed appassionati decisi a ribaltare un preconcetto ingiustificato, resta tuttora viva l'idea che questo molosso bianco debba necessaria mente essere feroce. Ne è una testimonianza il comunicato pubblicato il 21 febbraio 1999 sul quotidiano argentino Clarin da parte del locale Club del Dogo Argentino "Dr Antonio Nores Martinez". "L'onorevole Commissione Direttiva del Club" si legge tra le altre cose, "in relazione alle lamentele dell'opinione pubblica (...) sente il dovere di rivolgersi a tutta la nostra comunità, precisando che: a causa della insicurezza nella quale oggi vive la nostra società, è cresciuto il numero di cani dalla struttura forte ed il morso efficace ed in lui viene ricercata la protezione che altri non sono in grado di offrirgli. Il cane, naturale protettore di chi lo ama e compagno dell'uomo da quando quest'ultimo ha messo piede sulla terra - prosegue il comunicato - offre una soluzione a questi problemi ma la sua tenacia dev'essere accompagnata dalla responsabilità dei suoi proprietari che devono conoscere le sue specifiche necessità. (...) Un Dogo Argentino, come tutti i cani, è un compagno fedele. Ama i suoi proprietari però non è adatto a chi preferisce un cane indipendente".

    da http://www.falchibianchi.it/
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  6. #16
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    http://www.dogo-argentino.com/
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  7. #17
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  8. #18
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    Sono cani che lavorano in muta e quando lavorano sono una vera e propria équipe!Ognuno ha il suo ruolo preciso e rispettano una gerarchia ferrea.
    Ciononostante la gestione di più dogos non è facile....


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    85,76KB
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  9. #19
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    Sono cani che lavorano in muta e quando lavorano sono una vera e propria équipe!Ognuno ha il suo ruolo preciso e rispettano una gerarchia ferrea.
    Ciononostante la gestione di più dogos non è facile....


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  10. #20
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    [V]....io purtroppo non ho una buona impressione..... mi sembra molto ma MOLTO aggressivo verso gli altri cani, nonchè cuccioli innocui. E' a causa della solita mano sbagliata in cui finiscono?
    Homer boxer 25/05/2004
    Un giorno Dio creò l\'alpino, lo mise sulla montagna e gli disse \"rospo, arrangiati!\" </b><br />[img]<b></b><br />[img]<b><b></b><br />https://www.inseparabile.it/public/fo...35144_bier.gif<br /><font size=\"1\"> </font id=\"size1\">

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