cila
11-11-05, 09:09 AM
Abbiamo sempre avuto cani, dalla splendida collie, docile e bellissima, al maestoso malamute, all’esuberante pastore tedesco e una serie di meticci. Tutti regalati o rifiutati da altre persone.
Fino a quando conoscemmo un Labrador e fu colpo di fulmine.
Il suo carattere, il suo aspetto e la sua esuberanza ci avevano conquistati.
Non avevo mai comprato un cane ed eravamo totalmente digiuni d’allevamenti, linee di sangue e pedigree, ma soprattutto ignoravo che spregevole commercio si nascondesse dietro ai cuccioli.
Visitammo i pochissimi allevamenti in zona, che si rivelarono essere rivenditori multirazze.
Un nostro amico ci disse di aver preso la sua cagnolina da un signore che andava spesso in vacanza in Ungheria e conosceva qualche allevatore. Vedendo la sua cucciola così bella e sana, ci fidammo.
Aspettammo quasi tre mesi e ci sembrò sinonimo di serietà.
Chila entrò nella nostra vita il primo giorno di primavera del 2002.
L’euforia del suo arrivo si spense immediatamente. Era minuscola. Mi dissero che aveva 50 giorni. Adesso, che conosco meglio la razza, penso che ne avesse al massimo 35.
Nonostante l’età, sembrava sana, ben nutrita e molto attiva. Troppo.
Crescendo si rivelò il tipico cane affetto da sindrome di iper-attività dei cuccioli tolti troppo presto alla loro famiglia canina.
Chila era esagerata in tutto, quando giocava, quando faceva le feste, quando abbaiava. Era veramente ingestibile, nonostante corsi d’obbedienza e d’educazione.
Perdeva completamente il controllo e non aveva il minimo senso del pericolo.
Ma le stesse cose che rendevano così difficile la nostra convivenza, erano anche quelle che la rendevano adorabile.
Chila non si risparmiava mai, amava la vita, amava correre, amava me e tutta la mia famiglia, amava gli estranei, gli altri cani e i gatti, amava l’acqua, i suoi giocattoli, le sue palline e il suo maialino di peluche, che teneva perennemente in bocca, con cui dormiva abbracciata e che portava in omaggio agli ospiti che venivano a trovarci.
Tutte le persone che passavano davanti al cancello si fermavano a farle una carezza.
Si era specializzata nel furto con destrezza. Riusciva a far sparire qualsiasi cosa mentre la stavi guardando senza che te n’accorgessi.
Crescendo cominciò a soffrire di dermatiti, micosi, intolleranze e reazioni allergiche a qualsiasi cosa. Leggendo le esperienze delle persone che hanno avuto cuccioli dell’est, devo dire che ci andò meglio di molte persone. Fisicamente diventò un simil-labrador. Era piccola, tozza, le zampe storte, una muscolatura esagerata, sembrava più un pittbull che un lab. I ragazzi del quartiere la chiamavano Tyson. E da un giorno all’altro cominciò a tenere le orecchie modello pecora.
All’età di un anno le facemmo le lastre e rivelò una displasia bilaterale gravissima, ma completamente asintomatica, forse per la sua formidabile muscolatura.
Considerando la sua inesauribile energia, la portavo ogni giorno a correre nei campi.
Una sera di luglio dell’anno scorso eravamo come sempre, stati a fare le nostre due ore di corse, rientrammo a casa e stavo aspettando che si rilassasse per darle la cena. Di solito bastavano dieci minuti, ma questa volta no. Aveva un affanno che mi pareva esagerato anche per lei, e non accennava a passare, anzi. Si stese per terra, irrigidì le zampe posteriori e dall’intestino le uscì un liquido trasparente e inodore come l’acqua. Telefonai immediatamente al veterinario che mi disse di portarla in ambulatorio. Il viaggio fu in incubo. La respirazione era peggiorata e la sua sofferenza doveva essere immensa.
Il veterinario disse che aveva una fortissima infiammazione intestinale dovuta a degli antiparassitari di ultima generazione, che spruzzati sulle colture, si erano depositati sull’erba che aveva mangiato.
Le somministrò delle flebo per diluirle il veleno, dell’antidolorifico e ce la fece riportare a casa.
Passammo la notte a vegliarla, il respiro si regolarizzò verso le tre.
Aveva avuto una salivazione talmente abbondante da bagnare la coperta e gli asciugamani che le avevamo messo attorno. A un certo punto si mise seduta di fianco e ci guardò.
Sembrava che il peggio fosse superato. Le asciugammo il pelo, la massaggiammo e le demmo da bere. Tornammo dal veterinario per la flebo convinti di aver vinto la battaglia. Invece ci disse di non sperare troppo. Chila aveva superato la fase acuta dell’avvelenamento ma adesso dovevamo verificare i danni. Le fece gli esami del sangue. I reni e il fegato davano segni di sofferenza ma non in modo irreparabile, l’unico che dava un valore talmente alto da non poter essere misurato dalla macchina, fu il pancreas. Ci disse che in futuro avrebbe dovuto prendere degli enzimi e mangiare alimenti appositi. La riportammo a casa. Stava distesa ma con gli occhi vigili e attenti. La nostra vita si fermò. Non la lasciammo mai sola. Per due giorni la portammo mattina e sera a fare le flebo. Non eravamo pronti a lasciarla andare. Rivolevamo la nostra cagnolona abbaiona, confusionaria e combinaguai.
E lei rivoleva la sua vita, al punto che trovò la forza di alzarsi e saltare sul divano per mettersi al suo solito posto. Quanto piangemmo in quel momento, quella era la nostra Chila, non poteva arrendersi. La terza sera la situazione precipitò. Chila cominciò a lamentarsi. Il veterinario disse che il pancreas si era sciolto e che a quel punto bisognava rassegnarsi.
Era finita.
Morì solo con l’anestesia.
Ho visto mio padre singhiozzare e mia madre…beh lasciamo perdere.
Questo vuol essere un ricordo della nostra zingarella ungherese.
Ciao Ciletta, non dimenticarci.
Fino a quando conoscemmo un Labrador e fu colpo di fulmine.
Il suo carattere, il suo aspetto e la sua esuberanza ci avevano conquistati.
Non avevo mai comprato un cane ed eravamo totalmente digiuni d’allevamenti, linee di sangue e pedigree, ma soprattutto ignoravo che spregevole commercio si nascondesse dietro ai cuccioli.
Visitammo i pochissimi allevamenti in zona, che si rivelarono essere rivenditori multirazze.
Un nostro amico ci disse di aver preso la sua cagnolina da un signore che andava spesso in vacanza in Ungheria e conosceva qualche allevatore. Vedendo la sua cucciola così bella e sana, ci fidammo.
Aspettammo quasi tre mesi e ci sembrò sinonimo di serietà.
Chila entrò nella nostra vita il primo giorno di primavera del 2002.
L’euforia del suo arrivo si spense immediatamente. Era minuscola. Mi dissero che aveva 50 giorni. Adesso, che conosco meglio la razza, penso che ne avesse al massimo 35.
Nonostante l’età, sembrava sana, ben nutrita e molto attiva. Troppo.
Crescendo si rivelò il tipico cane affetto da sindrome di iper-attività dei cuccioli tolti troppo presto alla loro famiglia canina.
Chila era esagerata in tutto, quando giocava, quando faceva le feste, quando abbaiava. Era veramente ingestibile, nonostante corsi d’obbedienza e d’educazione.
Perdeva completamente il controllo e non aveva il minimo senso del pericolo.
Ma le stesse cose che rendevano così difficile la nostra convivenza, erano anche quelle che la rendevano adorabile.
Chila non si risparmiava mai, amava la vita, amava correre, amava me e tutta la mia famiglia, amava gli estranei, gli altri cani e i gatti, amava l’acqua, i suoi giocattoli, le sue palline e il suo maialino di peluche, che teneva perennemente in bocca, con cui dormiva abbracciata e che portava in omaggio agli ospiti che venivano a trovarci.
Tutte le persone che passavano davanti al cancello si fermavano a farle una carezza.
Si era specializzata nel furto con destrezza. Riusciva a far sparire qualsiasi cosa mentre la stavi guardando senza che te n’accorgessi.
Crescendo cominciò a soffrire di dermatiti, micosi, intolleranze e reazioni allergiche a qualsiasi cosa. Leggendo le esperienze delle persone che hanno avuto cuccioli dell’est, devo dire che ci andò meglio di molte persone. Fisicamente diventò un simil-labrador. Era piccola, tozza, le zampe storte, una muscolatura esagerata, sembrava più un pittbull che un lab. I ragazzi del quartiere la chiamavano Tyson. E da un giorno all’altro cominciò a tenere le orecchie modello pecora.
All’età di un anno le facemmo le lastre e rivelò una displasia bilaterale gravissima, ma completamente asintomatica, forse per la sua formidabile muscolatura.
Considerando la sua inesauribile energia, la portavo ogni giorno a correre nei campi.
Una sera di luglio dell’anno scorso eravamo come sempre, stati a fare le nostre due ore di corse, rientrammo a casa e stavo aspettando che si rilassasse per darle la cena. Di solito bastavano dieci minuti, ma questa volta no. Aveva un affanno che mi pareva esagerato anche per lei, e non accennava a passare, anzi. Si stese per terra, irrigidì le zampe posteriori e dall’intestino le uscì un liquido trasparente e inodore come l’acqua. Telefonai immediatamente al veterinario che mi disse di portarla in ambulatorio. Il viaggio fu in incubo. La respirazione era peggiorata e la sua sofferenza doveva essere immensa.
Il veterinario disse che aveva una fortissima infiammazione intestinale dovuta a degli antiparassitari di ultima generazione, che spruzzati sulle colture, si erano depositati sull’erba che aveva mangiato.
Le somministrò delle flebo per diluirle il veleno, dell’antidolorifico e ce la fece riportare a casa.
Passammo la notte a vegliarla, il respiro si regolarizzò verso le tre.
Aveva avuto una salivazione talmente abbondante da bagnare la coperta e gli asciugamani che le avevamo messo attorno. A un certo punto si mise seduta di fianco e ci guardò.
Sembrava che il peggio fosse superato. Le asciugammo il pelo, la massaggiammo e le demmo da bere. Tornammo dal veterinario per la flebo convinti di aver vinto la battaglia. Invece ci disse di non sperare troppo. Chila aveva superato la fase acuta dell’avvelenamento ma adesso dovevamo verificare i danni. Le fece gli esami del sangue. I reni e il fegato davano segni di sofferenza ma non in modo irreparabile, l’unico che dava un valore talmente alto da non poter essere misurato dalla macchina, fu il pancreas. Ci disse che in futuro avrebbe dovuto prendere degli enzimi e mangiare alimenti appositi. La riportammo a casa. Stava distesa ma con gli occhi vigili e attenti. La nostra vita si fermò. Non la lasciammo mai sola. Per due giorni la portammo mattina e sera a fare le flebo. Non eravamo pronti a lasciarla andare. Rivolevamo la nostra cagnolona abbaiona, confusionaria e combinaguai.
E lei rivoleva la sua vita, al punto che trovò la forza di alzarsi e saltare sul divano per mettersi al suo solito posto. Quanto piangemmo in quel momento, quella era la nostra Chila, non poteva arrendersi. La terza sera la situazione precipitò. Chila cominciò a lamentarsi. Il veterinario disse che il pancreas si era sciolto e che a quel punto bisognava rassegnarsi.
Era finita.
Morì solo con l’anestesia.
Ho visto mio padre singhiozzare e mia madre…beh lasciamo perdere.
Questo vuol essere un ricordo della nostra zingarella ungherese.
Ciao Ciletta, non dimenticarci.